La Scuola

Stop alla violenza sulle donne - ITSOS Marie Curie di Cernusco s/N (MI)

Sono gli studenti e le studentesse della 4 A INFO e 4C LSU di una scuola dell’interland milanese, l’ITSOS “Marie Curie” di Cernusco sul Naviglio che, guidati dai loro professori, Marco Fragale e Laura Fetel, scendono in campo realizzando due videoclip per Amnesty International e la difesa dei Diritti Umani. I due lavori sono stati presentati a tutta la scuola proprio il 28 maggio 2014, anniversario della nascita di Amnesty International con la significativa presenza di Sonia Forasiepi e Valeria Bernardi, rappresentanti e volontari di Amnesty International.

 “Women, it’s our time” (di Simona Marcandalli - classe IV FL Liceo Gentileschi)

Secoli fa, la donna non aveva molta importanza come ne ha oggi: era considerata un essere inferiore, che doveva badare solo ed esclusivamente alla casa, ai bambini e al marito e un suo atto di infedeltà poteva essere punito con la morte. Inoltre, per tutto il resto della vita, viveva sotto la tutela del padre prima e del marito poi. Solo alcune erano trattate con rispetto, come le mogli dei faraoni o degli imperatori.

Col passare degli anni, e anche dei secoli, la situazione non cambiò molto. Durante il Seicento, col diffondersi della paura delle streghe, diverse donne venivano arse sul rogo con l’accusa di stregoneria, in quanto non venivano sospettate soltanto di praticare magia nera, ma anche perché si ribellavano al potere dei padri o dei mariti e alle regole della società.

La situazione iniziò a cambiare solo nell’Ottocento. Con l’arrivo della Rivoluzione Industriale, nelle fabbriche era richiesta sempre più manodopera e, per questo motivo, le donne iniziarono a lavorare nelle industrie, sebbene venissero sfruttate e non pagate.

Nel corso degli ultimi anni, la donna si è fatta sempre più spazio in un mondo dove sembra che a comandare sia solo l’uomo. E’ indipendente, non sottosta alle regole di nessuno e scala la montagna del successo per raggiungere gli stessi posti di lavoro dei suoi colleghi maschi, riuscendo persino a superarli. Prende decisioni autonome per quanto riguarda il suo futuro e la sua condizione di donna, decidendo anche se avere figli naturalmente col proprio partner o tramite la fecondazione artificiale. Si fa piercings o tatuaggi, ribellandosi a un sistema che ci vuole perfette in tutto e per tutto. Scende in piazza e lotta per i propri diritti, fa sentire la sua voce in tutto mondo, affinché venga ascoltata e capita, e per far intendere che anche lei, in casa o al lavoro, “porta i pantaloni”.

Sebbene la donna sia diventata più indipendente e forte, si sa, il pericolo si aggira sempre dietro l’angolo. Ed ecco che il pericolo in questione è la violenza che esse subiscono.

Nel corso degli ultimi anni, i casi di violenza sulle donne sono aumentati a dismisura, così come i femminicidi: si pensi solo che sono stati registrati negli ultimi 5 anni 774 casi di femminicidi, in pratica 150 all’anno. E il numero continua ad aumentare.

Quando si parla di violenza, non si vuole intendere solo lo stupro, ma una categoria più ampia comprendente aggressioni, vessazioni, maltrattamenti, minacce, ricatti ed episodi di stalking. Le violenze causate vanno dall’aggressore sconosciuto a quello conosciuto, intendendo in questo senso un familiare, un amico di famiglia o intimo.

E i risultati di questi atti hanno diverse conseguenze: denunce, deposizioni in polizia o in tribunale, sedute con gli psicologi, paura ad uscire di casa, isolamento, depressione e, in alcuni casi, suicidio. E quando una vittima di violenza ricorre a quest’ultimo espediente, è perché essa non riesce più a sostenere il peso del dolore, dell’umiliazione e della vergogna che si porta dentro.

Se si parla della condizione della donna nei Paesi in via di sviluppo, la situazione non è di certo migliore di quella che si ha nei Paesi sviluppati. Da anni, oramai, 25 paesi africani sono dilaniati da guerre civili, militari e dagli attacchi dell’ISIS. In paesi come la Nigeria o la Somalia, tra l’altro, queste guerre stanno portando a una considerevole diminuzione della popolazione, in particolare femminile. Sappiamo molto bene, infatti, il destino che le spetta: rapite;portate lontano dalla loro famiglia;rinchiuse per mesi, se non anni, in una prigione; stuprate ripetutamente per mesi anche da più persone e, alla fine di tutto, uccise, come per liberarle da un dolore insopprimibile che non si toglieranno mai, né dal corpo né dalla mente. In altri casi, invece, queste donne, molte di esse ancora ragazze di 14-15 anni, rimangono incinte come conseguenza di questo orrore. E in questi casi vengono messe su un barcone che le porterà lontano dal loro paese. Lontano dalla guerra. Lontano dalla paura.

Inoltre, in questi paesi vigono due pratiche culturali alquanto sconvolgenti: la prima è la celebrazione del matrimonio tra bambine di 10-11 e uomini con il doppio della loro età, mentre la seconda è l’infibulazione, ossia la mutilazione dei genitali femminili, affinché le donne non provino piacere con altri uomini al di fuori dello sposo.

Se esistono delle soluzioni per combattere la violenza sulle donne? Certamente.

Ma siamo così sicuri che gli uomini, che siano sconosciuti o che siano accanto a noi, ogni giorno della nostra vita, abbiano la benché minima intenzione di impegnarsi a riflettere un momento, prima di alzare la voce o, peggio, la mano contro una donna, e domandarsi perché lo stiano facendo? Siamo così sicuri che, coloro che dovrebbero difenderci e amarci e che dovremmo conoscere alla perfezione, non siano in realtà dei perfetti sconosciuti, uguali a tutti gli altri?

Le domande sorgono spontanee.

In una società in cui l’uomo vuole avere tutto il potere nelle sue mani, dove vuole comandare, dove si allea con i più forti anziché aiutare i deboli e dove è disposto a tutto, persino ad uccidere pur di ottenere il risultato sperato, cosa possiamo sperare?

L’unico risultato sperato dipende solo da noi donne. Siamo le uniche a poter ribaltare la situazione, a poterla migliorare. Per noi e i nostri figli. Se da sole non siamo niente, insieme siamo più forti. INVINCIBILI. Il nostro destino dipende solo da noi. Per cui lottate sempre. Ogni giorno. Non fatevi comandare da nessuno. Parlate con qualcuno quando qualcosa non va, senza paura o vergogna. Abbiate il coraggio di agire contro chi in voi vede soltanto un oggetto, facendogli capire che siete molto di più, che provate sentimenti e che sapete essere più forti di quel che pensano. Piangete, ma poi tornate a sorridere, con la certezza che andrà tutto per il meglio e che niente potrà sconfiggervi. Siate voi stesse, uniche ed inimitabili in ogni vostro punto, senza preoccuparvi di dover piacere a qualcuno altro se non prima a voi medesime. SIATE DONNE. E siate orgogliose di esserlo, perché la nostra è la storia più lunga e incredibile che sia mai stata raccontata.

E, ricordatevi di una cosa: noi siamo impotenti solo fino a quando lo smalto sulle unghie non si è asciugato.

 

La donna è mobile 

Qual piuma al vento, Muta d'accento, e di pensiero.”  (di Giulio Bonetti, IV FL Liceo Gentileschi)

È così che, nell’immortale aria del “Rigoletto”, il Duca di Mantova descrive la figura del gentil sesso, che lui dispregia sotto tutti i punti di vista, salvo quello carnale.

Alla fine dell’opera di Verdi, il Duca non viene punito per le sue malefatte e per il suo comportamento deprecabile. Tuttavia, credo di non essere l’unico nell’affermare che non sia un uomo, ma solo una spregevole creatura che si nasconde dalle sue malefatte dietro al suo titolo nobiliare.

Oggi, sfortunatamente, la cavalleria è morta e di Duchi di Mantova ce ne sono parecchi al mondo, che sovente non si fermano alle parole, ma si spingono anche alla violenza fisica e, nei casi più gravi, al femminicidio.

La definizione proposta da Wikipedia di “femminicidio” è: “qualsiasi forma di violenza esercitata sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.”

Il femminicidio e la violenza sulle donne sono temi sempre discussi e purtroppo attuali. Le stime redatte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, indicano che ancora oggi, in tutto il mondo, oltre il 35% delle donne ha sperimentato una qualche forma di violenza, nella maggior parte dei casi perpetrata tra le mura domestiche ad opera del partner, colpevole, peraltro, nel 38% dei femminicidi.  

Dal canto mio, la società moderna non può tollerare atti del genere, né mostrarsi misericordiosa nei confronti di coloro che li commettono.                                                                                                                                    Ma, come si suol dire, prevenire è meglio che curare.

Infatti, penso che la migliore difesa da questi avvenimenti siano la prevenzione e l’accortezza, che è quello che spesso manca alle giovani di oggi: accecate da quello che credono sia amore, si ritrovano succubi del partner e alla mercé delle sue angherie.                                                                                                                                                         Aprire gli occhi davanti alla realtà e liberarsi di una compagnia poco raccomandabile è il primo passo per scongiurare eventi riprovevoli come la prevaricazione sulle donne.

È inoltre molto importante saper riconoscere i segnali di un possibile sviluppo misogino: un controllo eccessivo, un’insana e tormentosa gelosia, intimidazioni verbali e non, e comportamenti persecutori sono ottimi esempi di situazioni in cui l’allontanamento del partner è oltremodo consigliato.

Il mio consiglio a coloro vittime di soprusi è di rivolgersi in primo luogo alle amiche ed agli amici, che saranno senz’altro lieti di dispensare consigli, ai familiari, alle associazioni e ai numeri verdi di supporto.                                              

Ma soprattutto, è cruciale non perdere la speranza nell’amore e nel prossimo a causa di un passato di violenze.

 

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